Dori, presidente dell’Associazione Alzheimer Trento: “Un malato in fase terminale non si alimenta, non parla, non comprende gli stimoli: è in uno stato di minima responsività. E’ assurdo che un paziente in questo stato paghi servizi quali animazione e gite”. Rossi: “La Provincia ha competenza primaria in materia”
Di Arianna Viesi – 16 dicembre 2019 – 19:37
TRENTO. Da tempo l’Associazione Alzheimer Trento si batte perché i pazienti allo stadio terminale della malattia possano rientrare tra i cosiddetti Lea, cioè tra i livelli essenziali di assistenza a carico delle aziende sanitarie. Ad oggi, i pazienti affetti da alzheimer vengono inseriti nelle Rsa pubbliche, private o del privato sociale. Questo comporta l’obbligo del pagamento della cosiddetta “retta alberghiera”, una forma di compartecipazione alle spese di degenza.
Un malato di alzehimer, in fase terminale, non può (per ovvie ragioni) usufruire dei servizi che la quota dovrebbe coprire. Per questo il Patt ha presentato alla Giunta un ordine del giorno, a prima firma Paola Demagri, per non far pagare la retta nelle case di riposo ai malati di demenze gravi e di istituire un contributo economico per le famiglie che se ne fanno carico a casa. Il Patt, però, ha dovuto incassare il diniego della giunta. “Un diniego che ha dell’incredibile- commenta Ugo Rossi -. Inizialmente la motivazione che è stata addotta verteva sul piano legislativo: ‘non si può per legge nazionale’. Poi hanno corretto il tiro dicendo che questa misura richiederebbe un investimento consistente e che, al momento, i soldi non ci sono”. “Ma la Provincia – continua Rossi – ha competenza primaria in materia. Dal 2012, è attivo il cosiddetto livello assistenziale Namir che garantisce ai pazienti in stato vegetativo la gratuità della degenza in Rsa e un contributo di dieci mila euro annui alle famiglie che li assistono a casa”.
Tra i malati in stato vegetativo (ad oggi) non rientrano, però, i malati di alzheimer in fase terminale. E allora ecco quello che sarebbe stato un passo in avanti a livello sociale. Un passo in avanti che però, in aula, è stato bloccato. “Non solo si è persa un’occasione per migliorare le cose – completa l’ex presidente della Pat – ma così si rinuncia anche a utilizzare la nostra autonomia che ci ermetterebbe di introdurre misure come questa”. “Diversi anni fa – spiega Renzo Dori, presidente dell’Associazione Alzheimer Trento – nel 2012, la Cassazione si era espressa in tal senso, affermando che i pazienti affetti da alzheimer in fase terminale hanno diritto a prestazioni sanitarie a rilevanza sociale o socio sanitarie a elevata integrazione sanitaria che sono a carico del servizio sanitario regionale e nazionale”. Di fatto, però, dopo quella sentenza, le cose non sono cambiate. Anche perché, poi, ce ne sono state altre. Tante altre. E tutte hanno confermato quanto stabilito dalla Cassazione (ormai) sette anni fa: i malati di alzheimer in stato terminale avrebbero diritto all’assistenza sanitaria gratuita in Rsa. “In assenza di un Lea – continua Dori – c’è il rischio che ogni cittadino debba avviare una causa, sapendo già di vincerla”.
Lo stato terminale della malattia di alzheimer, insomma, corrisponde allo stato vegetativo e, come tale, andrebbe trattato. “Un malato in fase terminale non si alimenta non parla, non comprende gli stimoli: è in uno stato di minima responsività. E’ assurdo che un paziente in questo stato paghi servizi quali animazione e gite. Mi addolora sapere che la giurisprudenza si sia pronunciata in tal senso mentre la politica arranca”. E la Provincia, in tal senso, tanto potrebbe fare. “La Pat ha la possibilità di intervenire sui Lea aggiungendo ulteriori criteri di assistenza rispetto a quelli nazionali. Forse hanno paura che questo apra il fianco a nuovi costi e spese. Ma questa è una battaglia di giustizia e equità. Probabilmente non hanno mai fatto due passi in Rsa dove si trovano pazienti in stato terminale”.
In tanta confusione, però, un barlume di speranza per malati e famiglie. Vanessa Masè (Pd) ha infatti presentato un ordine del giorno, che ha ottenuto l’approvazione del consiglio. L’ordine impegna la Giunta a prevedere un ulteriore finanziamento per favorire la permanenza nelle loro case delle persone affette da demenza, sostenendo l’assistenza familiare con il supporto di operatori professionali. “Il quadro della fase terminale della malattia – conclude Dori – che può protrarsi per qualche anno è molto pesante: il paziente diviene completamente dipendente dall’aiuto assistenziale e sanitario.
Un numero crescente di persone con demenza di alzheimer in fase grave, proprio per l’alto grado di complessità clinico-assistenziale, difficilmente viene gestita a domicilio e più frequentemente vengono inserite nelle Residenze sanitarie assistenziali, a volte dotate di nuclei specializzati. La politica deve prendere in mano la situazione, adeguarsi alle sentenza della magistratura e legiferare per far rientrare la malattia nei Lea”. leggi l’articolo su Il Dolomiti.